‘IRAP’ e autonoma organizzazione: necessaria una capacità produttiva impersonale e aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista

I singoli fatti rivelatori di una autonoma organizzazione non possono essere esaminati soltanto in modo isolato ed atomistico

‘IRAP’ e autonoma organizzazione: necessaria una capacità produttiva impersonale e aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista

Ai fini della debenza dell’imposta sul reddito delle attività professionali – ‘IRAP’ –, il requisito dell’autonoma organizzazione per le professioni liberali, quale presupposto necessario dell’imposizione, sussiste in presenza di una capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista, derivante dal coordinamento di fattori che, valutati su di un piano non solo quantitativo ma altresì qualitativo, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale svolta dal professionista.
Questo il principio fissato dai giudici (ordinanza numero 22608 del 5 agosto 2025 della Cassazione), i quali, chiamati a prendere in esame lo scontro tra il Fisco e un avvocato, aggiungono che i singoli fatti rivelatori di una autonoma organizzazione non possono essere esaminati soltanto in modo isolato ed atomistico, dovendo necessariamente essere posti in relazione fra loro e valutati in modo complessivo, posto che la scarsa rilevanza sintomatica di un solo fatto in sé considerato, ben diversamente può incidere sul piano della sussunzione della fattispecie concreta in quella legale, ove coordinato e posto in raffronto complessivo e coordinato con tutti gli altri elementi del caso.
In ballo, nello specifico contenzioso, l’istanza di restituzione, avanzata dall’avvocato, di quanto pagato per l’IRAP nel 2011, dopo aver ricevuto una comunicazione di irregolarità relativa all’anno d’imposta 2009. In sostanza, il legale ha chiesto la restituzione di ben 8mila euro, sostenendo l’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione costituente presupposto per l’applicazione del tributo.
A fronte delle obiezioni sollevate dal professionista, però, per i giudici di Cassazione resta plausibile la pretesa avanzata dal Fisco. Ciò soprattutto tenendo presente che, normativa alla mano, il presupposto dell’IRAP è l’esercizio di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni e servizi, e il soggetto passivo del tributo è, quindi, colui che esercita tale attività, e, di conseguenza, perché ricorra il presupposto impositivo è necessario che l’organizzazione sia autonoma, con la precisazione che detto requisito non è integrato dalla (sola) mera quantità degli elementi organizzati, ma (in modo del tutto prevalente) dalla loro qualità, in relazione alla specifica attività considerata.
Volendo sintetizzare, non è possibile identificare l’autonomia dell’organizzazione in termini esclusivamente quantitativi. Eppure, in secondo grado si è dato ragione all’avvocato, osservando che l’Agenzia delle Entrate non ha fornito alcuna prova dello svolgimento organizzato di un’attività professionale, essendo l’unico elemento fattuale costituito dalla circostanza che i professionisti coinvolti esercitano l’attività professionale nel medesimo studio.
Questo ragionamento va censurato, secondo i giudici di Cassazione, poiché non si è tenuto conto, in modo specifico, di elementi quantitativi e qualitativi indici sintomatici dell’autonoma organizzazione, come il dato quantitativo, tutt’altro che irrilevante, relativo al compenso a professionista terzo, per una cifra superiore a 20mila euro, senza poi dimenticare il dato qualitativo dell’apporto fornito dai terzi. Tutto ciò nell’ottica di verificare se vi sia stato un coordinamento organizzativo tale da far assurgere al professionista legale il ruolo di soggetto passivo dell’imposta.
Non secondario, poi, l’ulteriore elemento della riconducibilità al contribuente di una pluralità di studi professionali posti in città diverse.

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